Il piccolo principe, una storia senza età

È uscito nelle sale italiane lo scorso 1 Gennaio il film di animazione tratto dall’omonimo romanzo di Antoine de Saint-Exupéry, “Il Piccolo Principe”.
Quando ci troviamo di fronte alla trasposizione cinematografica di un libro, di conseguenza, ci troviamo di fronte ad un ampio dibattito. Ad esaltare l’animo degli spettatori è la presunta fedeltà o meno del film in relazione all’opera prima, il libro. Figuriamoci per un opera così inflazionata e conosciuta a tutti come può essere “il Piccolo Principe”. E questo film ce l’ha fatta?
La pellicola era stata presentata lo scorso festival di Cannes fuori concorso, con un buon responso da parte della critica. Alla regia troviamo Mark Osborne, conosciuto soprattutto per aver diretto per la Dreamworks il primo capitolo di Kung Fu Panda. Il film è realizzato in tecnica mista: stop motion e computer grafica. La parte in stop motion è quella che si rifà alla storia di Saint-Exupéry, quindi al libro; mentre la parte realizzata in CGI è relativa alla storia di contorno, quella moderna. Infatti il film è realizzato in maniera tale da contestualizzare una storia così fantastica e semplice con la frenesia e le difficoltà della vita moderna.
Ci troviamo, pertanto, di fronte alla storia di una bambina, Prodigy. Figlia di una madre scrupolosa che non vuole lasciare niente al caso per il suo futuro ma che allo stesso tempo non trova mai il tempo per lei sommersa dai mille impegni di lavoro, e di un padre che vive lontano e che nella pellicola è appena nominato. Insomma il classico stereotipo moderno della famiglia alla deriva. La storia di Prodigy prende una svolta quando incontra l’aviatore, che le fa conoscere il piccolo principe. Lei inizialmente respinge questa fantastica storia in quanto crede di essere una bambina troppo matura per certe storielle, in seguito però sarà sempre più affascinata dal piccolo principe e instaurerà una bella amicizia con l’aviatore. Così alla storia di Prodigy si unisce quella del piccolo principe che chiunque abbia letto il libro conosce bene.
Nel momento stesso in cui la bambina scopre la storia del piccolo principe, lo spettatore (soprattutto lo spettatore adulto) riesce ad immedesimarsi nell’approccio a metà tra l’incredulo e l’affascinato che appartiene alla bambina. Questa storia, così semplice e pura, non convince Prodigy all’inizio e viene vista allo stesso modo dallo spettatore. Una semplice storiella raccontata ai bambini che non ha niente a che fare con la vita reale. E in quel momento noi siamo veramente come Prodigy. Ci sentiamo maturi e distaccati da questa storia ma in realtà siamo dei bambini che si ricordano cosa voglia dire essere bambini. “Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)”.
Quindi per rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio, la risposta è sì. Sì perché questa pellicola non tenta solamente di rappresentare sul grande schermo una semplice storia, fa molto di più. Ci fa vedere quello che questa semplice storia ha rappresentato per generazioni e generazioni. Il film diventa così non una mera trasposizione della storia ma uno specchio di fronte al quale è seduto il nostro alter ego che per la prima volta ha letto il libro. Non importa se questo alter ego sia un bambino con di fronte un libro di narrativa delle medie o un adulto che soltanto recentemente ha scoperto quest’opera. Il risultato è sempre lo stesso: “Il Piccolo Principe” ci mette nella condizione di approcciarci ad esso con la purezza e la semplicità di un bambino.

Nicola Ripepi

di Redazione UniVersoMe

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