Il duomo di Messina: un grandioso reliquiario per una città che non molla

Pochi luoghi possono raccontarci la storia della città di Messina più del suo Duomo. Fondato in periodo bizantino ma ampliato alle dimensioni attuali sotto Ruggero II d’Hauteville, la storia di questo maestoso tempio, dedicato a Maria Vergine Assunta, è stata per secoli la storia della Città, una storia fatta di grandezza e declino, di continue distruzioni e pazienti ricostruzioni: raso al suolo nel 1908, ricostruito e poi nuovamente danneggiato dai bombardamenti alleati nel 1943, il Duomo, così come la Città, è sempre caparbiamente risorto dalle sue stesse ceneri. Il volto che oggi questo monumento offre ai visitatori è ovviamente quello delle ricostruzioni novecentesche, per molti aspetti drasticamente diverso dall’aspetto con cui si presentava indietro nei secoli d’oro della sua storia; ma, dietro i lineamenti essenziali della facciata e l’apparenza spoglia dell’interno, si celano con discrezione le vestigia dei fasti passati. Tralasceremo dunque alle uscite a venire il grandioso campanile, col suo orologio meccanico tanto caro ai turisti, per andare alla ricerca di queste tracce nascoste che tanto possono raccontarci, sulla storia della nostra Città.

Si parte dalla maestosa facciata a salienti, su cui spiccano eleganti le tre ogive dei tre portali gotici. Quello centrale, quattrocentesco, opera del Piperno (1412), è riccamente decorato in stile; lo sovrasta un medaglione raffigurante l’Incoronazione della Vergine, di Pietro de Bonitate (1465) mentre, nella lunetta, la statua cinquecentesca della Madonna in trono, del Mazzola, contrasta forse in maniera un po’ troppo stridente con lo sfondo ottocentesco, affrescato con angeli musicanti da Letterio Subba. Sui lati del portale, a destra e a sinistra, si snodano delle fasce decorate a bassorilievi rappresentanti le attività nei campi, di gusto squisitamente gotico trecentesco. I due portali laterali invece, più piccoli, sono anch’essi datati fra il ‘400 e il ‘500 e presentano nelle lunette le immagini della Madonna (quello sinistro), e di san Placido, compatrono della città (quello destro). Degni di nota anche gli accessi laterali alla chiesa, con portali cinquecenteschi opera di Rinaldo Bonanno e Polidoro Caldara; l’ingresso a sud presenta anche un corpo aggiunto con eleganti bifore tardo-gotiche quattrocentesche.

L’interno è a tre navate, con tre absidi, ciascuna delle quali è decorata interamente da mosaici in stile bizantino, databili fra il XIV e il XV sec.. L’unico sopravvissuto interamente è quello dell’abside di sinistra, raffigurante la Madonna in trono fra angeli; interamente ricostruito è quello grande dell’abside centrale, col maestoso Cristo benedicente; parzialmente originale ma ampiamente danneggiato quello dell’abside destra, con san Giovanni Evangelista fra san Nicola e san Mena. Completamente contemporanei sono invece i mosaici dell’arco trionfale, evidente tributo all’iconografia del Salvator Mundi, dipinto di Antonello da Messina conservato alla National Gallery; proprio Antonello compare raffigurato, assieme a san Luca, rispettivamente a destra e a sinistra del Cristo benedicente.

Mentre la navata centrale, spoglia, risente molto della ricostruzione novecentesca, le due navate laterali sono decorate da una successione di nicchie con cappelle dedicate ai dodici Apostoli: è quel che resta del monumentale complesso dell’Apostolato, progettato dal Montorsoli nel 1550 come tentativo ambizioso e concettosamente manierista di dare un unico respiro stilistico e formale all’ornamento delle due navate. Ultimato nella prima metà del ‘600, distrutto nel 1908, è oggi fedelmente ricostruito; le statue degli Apostoli sono opera di autori novecenteschi, salvo quella di San Giovanni Battista, nella terza campata della navata di destra, che è preesistente al complesso dell’apostolato e datata 1525, opera dello scultore Antonello Gagini. Procedendo verso il transetto, nella navata centrale troviamo il pulpito, ricostruito sul modello di quello cinquecentesco opera di Andrea Calamech; è detto “pulpito degli eresiarchi” perché presenta, sul fusto, i volti dei quattro eresiarchi Maometto, Lutero, Zwingli e Calvino, un tema inconsueto, ma in linea con lo spirito culturale della Controriforma. Lungo la navata sinistra invece, passando dall’atrio nord si può raggiungere la bella sagrestia settecentesca, con pregevoli mobili in legno a intarsio, e da lì la Cappella dei Canonici.

Superate le cappelle dell’apostolato, si raggiunge il transetto, preceduto a sinistra dall’altare del Redentore, tardo-cinquecentesco, e a destra da quello dell’Assunta, dei primi del ‘600, entrambi parzialmente ricostruiti; accanto all’altare del Redentore c’è una formella raffigurante san Girolamo in penitenza, di Domenico Gagini. L’abside di sinistra è il meglio conservato; mantiene ancora i mosaici originali e la ricca decorazione barocca della scuola di Jacopo del Duca, con le otto statue di sante vergini, i putti e i medaglioni; alle spalle dell’altare, detto del Santissimo Sacramento, si raggiunge la cappella delle reliquie. L’abside di destra, invece, dedicato a San Placido, era stato originariamente affidato a Innocenzo Mangani, ma quella che si vede oggi è solo una ricostruzione.

L’abside centrale invece conserva, inglobato nell’altare “coram populo”, un bel paliotto argenteo della famiglia Juvarra (1701). Infine, anche se si tratta di una ricostruzione, è impossibile non notare l’altare maggiore, con l’icona della Madonna della Lettera sovrastata da un sontuoso baldacchino barocco copia dell’originale di Simone Gullì; ricopre l’icona una manta d’argento che, durante la festa della Madonna della Lettera, viene sostituita dalla pregevole Manta d’Oro, opera di Innocenzo Mangani (1668), custodita al Museo del Tesoro del Duomo. È degno di nota infine che nello spazio tra i pilastri del transetto e il Coro trovano sepoltura diversi arcivescovi di Messina, tra cui Angelo Pajno, che ne promosse la ricostruzione dopo il terremoto del 1908.

Tante sarebbero le altre cose a cui dare attenzione una volta che si entra in questo monumento grandioso: ma basta il poco che vi stiamo mostrando per dimostrare che quella che potrebbe sembra una austera e spoglia cattedrale novecentesca in cemento armato, altro non è che un enorme reliquiario, che racchiude in se le vestigia preziose del grande passato di una città che, nonostante tutte le avversita, ha sempre continuato, e forse continua ancora a sperare nella sua resurrezione.

Foto di: Francesca Maiorana

Gianpaolo Basile

di Redazione UniVersoMe

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