Il valore del ricordo a quarant’anni dalla morte di Mario Francese

La mafia ha sempre mietuto molte vittime, ma per non renderle vane occorre perpetuarne il ricordo. Le idee di chi ha lottato e dedicato la propria vita alla ricerca della verità non moriranno mai. E continueranno a vivere nelle parole e nelle azioni di chi ne racconta l’operato, commemorandoli nel nome di un ricordo che mai si affievolisce. Sono tante le categorie colpite dalla malavita, che non risparmia nessuno: civili, magistrati, forze dell’ordine, ispettori e giornalisti. Sì, giornalisti, come Mario Francese, garante ideale dell’informazione per antonomasia, uno dei primi pionieri delle inchieste antimafia, risoluto, ostinato ed eccellente professionista considerato scomodo da un sistema criminale, e per questo zittito. A quarant’anni dal suo omicidio avvenuto per mano mafiosa, studenti, professori e giornalisti si sono raccolti per riflettere, nell’aula dell’accademia dei pericolanti dell’università degli studi di Messina. Vi hanno preso la parola il prof. Giovanni Moschella, presidente del centro studi sulle mafie, il prof. Luigi Chiara, direttore del centro studi sulle mafie, il prof. Marco Centorrino, docente di sociologia della comunicazione e Claudia Benassai, giornalista e promotrice della realizzazione dell’evento, in collaborazione con UniVersoMe, la testata giornalistica degli studenti universitari di Messina, il cui direttore generale, Alessio Gugliotta, ha moderato gli interventi.

©Marina Fulco, Messina 2019

 

©Marina Fulco, Messina 2019

Presente anche Giulio Francese, in veste di presidente dell’ordine dei giornalisti di Sicilia, nonché figlio del giornalista prematuramente scomparso, testimone della vita del padre, di cui ha descritto e condiviso i tratti della personalità in un discorso toccante e ispirante che ha visibilmente risvegliato gli animi e smosso le coscienze dei partecipanti. “Il giornalista con la schiena dritta” è l’espressione che ha dato il titolo alla ricorrenza, che, come ha dichiarato Giulio Francese, rispecchia a pieno la figura del padre incorruttibile, coraggioso, con un modus operandi eticamente corretto, che agiva con trasparenza e responsabilità. Figura esemplare per chiunque voglia intraprendere un percorso giornalistico. Non c’è coraggio senza paura. Il figlio di Francese ha infatti negato che il padre non avesse paura. Sicuramente ne ha provata molta nello svolgere il suo lavoro, ma non ha mai lasciato che prevalesse sul senso del dovere. La reputazione odierna del ruolo di giornalista tende a subire generalizzazioni ed essere compromessa, denigrata, infangata, privata di dignità, sminuita, svilita ed erroneamente ridotta a mero sciacallaggio. Raccontare di un giornalista come Mario Francese aiuta a ripristinare quell’immagine genuina di interprete della realtà riportata con credibilità e senza essere distorta. A proposito di storpiature, dalle parole di tutti gli intervenuti è emersa un’amara consapevolezza: l’esistenza di chi vorrebbe manipolare e orientare l’informazione, ingannando la società e divulgando le sempre più diffuse fake news. Tra i consigli per riconoscerle, quello di verificare sempre le fonti di ciò che leggiamo, confrontare diversi testi e approfondire i contenuti, analizzandoli con criterio e spirito critico. Il lascito di Francese è un’eredità intellettuale e culturale che dovrebbe fungere da monito per non ricommettere più gli stessi errori. L’aver ottenuto giustizia, se pur parziale e con tante congetture irrisolte, non colmerà mai il dolore di persone come Giulio Francese. Ciò nonostante, egli stesso ha affermato, durante il suo intervento, di credere che prima o poi la verità emergerà. Se è vero che la storia insegna, quella di Mario Francese non deve più cadere nell’oblio, dove è finita per vent’anni, prima di essere rivalutata e riportata in auge per i restanti venti.

Gli interventi di tutti gli altri relatori hanno rappresentato stimoli e spunti di confronto per un dibattito interessante. In particolare, i professori Moschella e Chiara hanno analizzato la figura del giornalista Mario Francese in relazione al contesto storico della Sicilia degli anni settanta, scenario in cui l’organizzazione mafiosa si stava consolidando in modo capillare controllando molti aspetti del sistema politico e sociale della regione e dello Stato. Moschella ha definito Francese un giornalista che esercitava la propria professione scevro di condizionamenti, emblema che incarna un prototipo giornalistico sano e autentico come elemento fondante della coscienza democratica e civile. Il suo operato, che ha pagato con la vita, è la dimostrazione di come l’attività di informazione non possa essere disgiunta dal perseguire la verità”. 

Il professore Centorrino ha ribadito, in linea con quanto già sottolineato dai colleghi, la centralità di una delle funzioni del giornalismo: la tutela della democrazia e di indagine in opposizione alla criminalità organizzata. Da parte del professore è stato doveroso e spontaneo menzionare il parallelismo tra Francese e “un altro giornalista con la schiena dritta, altra vittima della mafia che si è distinto per il suo operato altrettanto degno di nota: Beppe Alfano, con il quale Centorrino ebbe il privilegio di lavorare durante l’esperienza di cronista di nera per il quotidiano “La Sicilia” di Catania”.

La giornalista Claudia Benassai, molto sensibile alla tematica ed esperta del caso Francese, su cui ha elaborato la sua tesi di laurea, durante l’incontro ha approfondito le inchieste condotte da Francese e spiegato le modalità di svolgimento del suo lavoro di ricerca, citando come modello l’articolo “Perché il Belice è un terreno minato” scritto proprio dal giornalista stesso. Il figlio Giulio ha ricordato l’importanza della lettura dei testi redatti dal padre, di cui è possibile prendere visione nel sito marioegiuseppefrancese.it., in una sezione del sito dedicata all’archivio pazientemente creato con la collaborazione del fratello Giuseppe, che fino a poco prima di togliersi la vita, si prodigò per la raccolta di dati in favore della ricostruzione dell’omicidio del padre.

©Marina Fulco, Messina 2019

La Benassai ha inoltre riportato la testimonianza del giornalista Vincenzo Vasile, collega di Mario, che per lui rappresentò un mentore dall’impeccabile etica professionale, al quale ispirarsi. Ecco un estratto del suo racconto, in cui dichiara:

“In alcune fiction recenti gli sceneggiatori tratteggiano un personaggio anacronistico, riscrivendo il profilo professionale e culturale di Mario con lo stereotipo del cosiddetto “giornalismo di inchiesta”. È invece la normalità, la quotidianità del mestiere di informare, il tratto caratteristico di Francese, e il suo omicidio dice dell’impossibilità, del divieto mafioso del mestiere di informare, alla svolta della metà degli anni Settanta. Mario lavorava una quindicina di ore al giorno, come facevano a quei tempi i veri cronisti. E la cronaca normale – riferire un rapporto dei carabinieri sui maneggi mafiosi e politici su una diga nel Corleonese – era divenuta impossibile. Un invisibile confine si era spostato. E Mario Francese lavorando normalmente quelle quindici ore al giorno si trovò un passo oltre quel confine per fare nient’altro che il suo mestiere. 

©Marina Fulco, Messina 2019

Molto significativa è stata la risposta della platea, che ha partecipato con attenzione e rispettoso silenzio, al quale è seguito un momento di interazione in cui il pubblico ha potuto rivolgere curiosità e domande agli ospiti. L’evento ha sortito l’effetto che la testata UniVersoMe si era prefissata tra gli obiettivi, e cioè, come ha affermato il coordinatore Gugliotta, quello di non speculare sul dolore e di non strumentalizzarlo con pietismo, ma di volgere il quarantesimo anniversario della morte di Francese alla sensibilizzazione dell’intera comunità studentesca e di quei giovani che, se pur non contemporanei all’epoca in cui è vissuto Francese, hanno il dovere morale di conoscerne la storia per non dimenticare. 

 

Giusy Boccalatte   

di Giusy Boccalatte

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