Bring me back to life

Sentivo che il mio tempo stava per scadere.
Ma qualcosa in me non era d’accordo.

Non ricordo come sia finito a terra, tra il fango e le cartucce scariche. In questo momento non ha alcuna importanza.

Sento l’uniforme zuppa da capo a fondo. Qualche ora fa il cielo ha rilasciato una pioggia leggera inumidendo il terreno su cui sono steso.
L’aria di battaglia rimane statica e opprimente, bloccata dalle nuvole che sovrastano il campo.

Questo non facilita la mia respirazione, già in difficoltà per altre ragioni.

I miei indumenti non sono bagnati solo a causa dell’umidità.
A testimoniarlo è la mia mano, colorata d’un rosso scarlatto dopo aver stretto la spalla dolorante.

Mi hanno sparato pochi minuti fa, ma non sono a terra solo per questo.
In passato, mi è capitato di combattere nonostante una ferita di arma da fuoco. E quella di adesso non è di entità più grave.

Capita.
Capita che un soldato non regga le vessazioni della battaglia.
In questo momento ciò che mi pervade è una forte stanchezza.
Non fisica, non emotiva, non mentale.

Ho bisogno di rigenerare qualcosa che manca.

Giungere a questa consapevolezza mi ricorda le domande che mi ponevo insieme ai miei compagni.

Ragazzi, secondo voi” aveva esordito il più giovane del gruppo “quando tutto va a rotoli, e abbiamo attuato tutte le procedure d’emergenza, fallendo, cos’è che dobbiamo fare per salvare noi e il buon esito della battaglia?

Non ricordo che risposta ebbe, probabilmente ci perdemmo in spiegazioni tecniche sulle procedure d’emergenza.

Ci distraemmo così dall’unica domanda che meritava una risposta.

Mi sono arruolato perché sentivo di non poter stare con le mani in mano. Fu l’inizio di un percorso in cui, a sprazzi, ci capii davvero qualcosa.
Il forte Amore di lottare per qualcosa e non contro qualcosa, mi risvegliava.
E forse ciò di cui ho bisogno adesso è proprio questo.

Il cuore inizia a battere più velocemente. “Oh, vuoi provare a riportarmi in vita almeno per un’altra notte?” chiedo stupidamente al mio organo.

Non sarà sufficiente.

Sento il fango penetrare nei vestiti, ho un brivido: il corpo inizia a raffreddarsi.

Penso che mi sto lasciando morire, perché in fondo sarei in grado di curare la ferita.
Ma va bene così, ho fatto la mia parte. Non ho risparmiato nulla.
Ho dato tutto.

Voglio solo riposare, mi aiuterà a non sentire più quell’orribile sensazione di aver smarrito qualcosa.
Desidero la pace.

L’umidiccio sulla spalla si espande continuamente, insieme al dolore che si propaga in me.
Mi fa male il petto, respirare diventa complicato.
Guardo di fronte a me: il fumo di un’esplosione colora lo sfondo illuminato dal fuoco. Il cielo è ancora coperto dalle nuvole ma credo stia facendo buio.
Inizia a offuscarmi la vista, chiudo gli occhi.

Dunque è così che si muore.
La vita scivola via da te in modo graduale.
Progressivamente.

Mi abbandona la forza fisica.

Poi le emozioni, con una rassegnazione tranquilla.

E infine crolla la mente.

C’è silenzio adesso, c’è pace.

Silenzio…

Pace…

No, qualcosa c’è. Non c’è il vuoto che mi aspettavo.

Mi sento esistere.
È strano, perché non sto pensando.
Sento solo che esisto.

Improvvisamente mi accorgo che questo momento è perfetto.

Adesso, nel momento in cui mi sento esistere, non ci sono preoccupazioni, non c’è disperazione, non c’è voglia di lasciare tutto.

Godo della beatitudine di questa consapevolezza. Mi rendo conto di aver trovato ciò che avevo smarrito.

Ma aspetta, cos’è che mi sta riportando in vita?
Sì, perché mi sento vivere.

Essere presente a me stesso mi ricorda una frase che mi dissi tanti anni fa.

Diventerò lo scudo di ciò che voglio proteggere”.

Tali parole risuonano in me ben oltre il livello mentale.

Non posso morire, non ho ancora finito la mia battaglia.

Mi risveglio dal torpore della quasi morte.

Il cuore accelera e mi sforzo di respirare nonostante il dolore lancinante.

Apro gli occhi e trovo il campo di battaglia.

Il bruciore alla ferita mi ricorda che devo fermare la fuoriuscita di sangue se voglio sopravvivere.
Lentamente sposto il braccio all’altezza della cintura, nel tentativo di recuperare il kit di pronto soccorso.

Sento dei passi in lontananza e delle urla. Dei soldati sorpassano il mio corpo e si posizionano per difendermi.
Qualcuno chiama il mio nome.
Un compagno si getta a terra accanto a me “Stai bene?” chiede.
” rispondo “aiutami a curare la ferita, così potrò aiutarvi ad avanzare”.

Inspired by: https://www.youtube.com/watch?v=wUiWIBiVH4U

Angela Cucinotta

di Redazione UniVersoMe

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