Una storia siciliana: tra speranza e miracolo

Come spesso ci capita durante questo periodo di riflessione, anche oggi la nostra rubrica decide di mettere in moto la macchina del tempo, con un occhio al presente.

Vi abbiamo già raccontato di come l’Università di Messina fosse stata chiusa in circostanze straordinarie.

In questo articolo vi racconteremo un’altra grande epidemia del passato: ma, soprattutto, vi narreremo cosa rimane ancora oggi come segno tangibile, radicato nella nostra cultura, della ferita che l’epidemia lasciò sul nostro territorio.

Religioni e fatti della storia, seppur dal punto di vista laico come è giusto che sia: questa storia racconta ed enfatizza il suo aspetto più naturale, ovvero la speranza. Ad ogni modo resta nella nostra memoria culturale la straordinarietà di ciò che fu il Miracolo di liberazione del Colera dalla provincia Messinese e di tanti figli messinesi sparsi per ogni dove durante l’epidemia di quel tempo, che colpì la Sicilia e la nostra provincia nel XVII secolo.

Correva l’anno 1854, Messina e il suo territorio ebbero un miracolo accertato che portò alla guarigione della signora Vadalà: signora che, rifugiandosi in provincia a Castroreale dove il marito risiedeva per ragioni di pubblico impiego (Castroreale fu seconda solo alla fraterna Messina per importanza amministrativa, religiosa e culturale), fu miracolata dal Cristo Lungo.

Il nome è dovuto al palo sul quale venne eretto, affinché fosse visibile anche dai piani delle case posti più in alto: fu portato in processione proprio per scacciare il colera dalla cittadina e passando accanto al balcone della signora ormai moribonda, all’inginocchiarsi del marito in richiesta di grazia, questo la guarì dal male che la opprimeva.

Oltre al carattere religioso della vicenda e alle considerazioni mediche sull’andamento della malattia nella singola persona, ciò che ci colpisce è la resistenza: ancora oggi, infatti, quel Cristo passa per le strade, in barba al tempo e alle generazioni.

La festa del Cristo Lungo (in dialetto locale “U Signuri Longu” o nella variante di alcuni villaggi limitrofi – oggi comuni autonomi – “U Cristu Longu”) è una festa che ricorre il 23, 24 e 25 agosto di ogni anno.

È un evento religioso a carattere fortemente folkloristico, oltre che di fede sentita per i credenti: un momento da vedere almeno una volta nella vita, del tutto particolare e carico di significato, come abbiamo visto. Il Cristo viene posto in processione ed inalberato su un lungo palo in legno per rievocare e commemorare in forma di gratitudine, l’estinzione dei focolai dell’epidemia di Colera del 1854.

Ancora oggi il significato è lo stesso: il Cristo venne inalberato per far sì che la sua benedizione potesse arrivare dall’alto su tutti i tetti delle case a tutti gli abitanti della città, finanche a tutta la popolazione delle campagne e dei villagi vicini: da Capo Calavà, Capo Tindari, Capo Milazzo e sua piana inclusa, a guardar verso Messina e le Isole Eolie. 

Comune di Castroreale

Da nord a sud e da est ad ovest, proprio dall’alto del colle torace (altura 394 metri sul livello del mare, così denominata per la forma caratteristica) ubicazione della cittadina madre del Santissmo Crocifisso.

Ma c’è di più: questa storia si riallaccia a un’altra sentitissima tradizione messinese. Infatti, l’ideatore della vara del Cristo e del palo per l’inalberazione fu lo stesso ideatore della famosa Vara di Messina celebrata il 15 di agosto ogni anno, tanto cara a noi tutti Messinesi.

La speranza, la fede, la scienza: qualsiasi sia il nostro appiglio, rimane la resilienza di ognuno di noi, con la quale dobbiamo necessariamente andare avanti.

E chissà se, quando tutto sarà finito, avremo anche storie come queste da raccontare e tramandare, da rivivere tutti insieme di anno in anno.

Filippo Celi 

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