Facciata del Teatro Vittorio Emanuele, Messina. Fonte: teatrovittorioemanuele.it

Il Teatro Vittorio Emanuele: origini e storia

Le origini del progetto architettonico

Il Teatro Vittorio Emanuele, situato tra il Viale Garibaldi e il Corso Cavour, è il primo teatro siciliano in stile ottocentesco. Progettato dal napoletano Pietro Valente e inaugurato nel 1852. In origine fu chiamato Teatro Elisabetta in onore della madre del Re e dopo l’impresa di Garibaldi prese il nome del primo Re d’Italia.

Voluto da Ferdinando di Borbone tra il 1842 e il 1852, il primitivo progetto architettonico consisteva nella comunione di un apparato strutturale esterno e un apparato decorativo interno da far coincidere in perfetta simbiosi in maniera che l’uno diventasse diretta funzione dell’altro.

Nell’opera Lineamenti della storia artistica di Messina, l’autore Francesco Basile scrive:

“La decorazione interna del teatro secondava con felici tocchi, con fine misura ottocentesca, le forme architettoniche
degli ambienti, smorzando ogni crudezza di passaggi con lineari ricami, con sottili e sfumati chiaroscuri. Gli ambulacri i vestiboli i ridotti, avevano una grazia semplice, un calmo splendore.”

Al fine di realizzare il Teatro venne emessa un’ordinanza da Ferdinando II in cui si dichiara la necessità di  spostare i carcerati nel Castello di Roccaguelfonia, una fortezza oggi meglio conosciuta come Tempio del Cristo Re.

Alla presente affermazione ne consegue che il 2 ottobre 1838 il barone Don Nicola Santangelo, reggente il Ministero degli Affari Interni, comunica all’Intendente del Vallo di Messina Don Giuseppe De Liguoro, l’ordinanza di Ferdinando II re delle Due Sicilie. In un passo, si legge:

“[…] desiderando di veder soddisfatto il voto unanime della città di Messina per la pronta costruzione di un teatro, e volendo ad un tempo, che questa nuova opera contribuisca in particolar modo ad accrescere il decoro, ed il lustro di sì bella città, e che soddisfi ancora al bisogno della sua numerosa popolazione […] ha quindi S.M. risoluto, che il Teatro della città di Messina sia costruito nell’edifizio che attualmente è addetto ad uso di prigione centrale di cotesta provincia […]”.

 

Facciata antica del Teatro Vittorio Emanule, Messina. Fonte: teatrovittorioemanuele.it

 

Complessivamente le dimensioni progettate per il teatro erano di circa metri 38 di larghezza e di circa metri 67 di lunghezza con una capienza in platea di 342 poltrone e circa 600 posti nei palchi.

Nel 1857 vengono collocati, sulla facciata del Teatro, i due bassorilievi con scene della vita di Ercole e gli otto medaglioni in marmo con i profili di famosi musicisti e drammaturghi, scolpiti da Saro Zagari. I bassorilievi raffigurano “Ercole che aborrendo dalla voluttà seduttrice, appigliasi alla Virtù ch’è seguita delle Muse” ed “Ercole che per avere scelto la Virtù fatto immortale, è assunto all’olimpo ed ha in sposa Ebe dea della giovinezza”

La sala Laudamo

Nonostante il terremoto del 1908, il teatro rimane in piedi; presenta solo alcune lesioni sui muri perimetrali e il crollo di alcune pareti. Nel 1921 viene inaugurato un progetto di restaurazione con l’idea di ampliare il palcoscenico al fine di ricavarne una sala adibita ai concerti: la sala Laudamo.

La Filarmonica Laudamo è la più antica società di concerti siciliana da cui prende il nome la sala del teatro riservata ai concerti e che ha istituito nel 1948 la scuola di musica “A. Laudamo”, successivamente convertitasi in Liceo Musicale ed oggi definitivamente trasformata in Conservatorio “A. Corelli”.

Negli anni ’40 si è occupata dell’allestimento di stagioni liriche dovute alla mancata attività del teatro Vittorio Emanuele colpito dal sisma del 1908.

 

Il mito di Colapesce

Il soffitto, affrescato nel 1985 dal pittore Renato Guttuso con una rappresentazione del mito di Colapesce è ciò che rende unica l’esperienza visiva in teatro. Si tratta di una leggenda la cui versione più famosa è ambientata a Messina cui protagonista è Nicola, il figlio di un pescatore messinese. Essendo un amante del mare egli è solito raccontare i tesori presenti sul fondale marino. La sua fama giunge all’imperatore Federico II di Svevia che decide di metterlo alla prova. Il re, la sua corte e Nicola, saliti su un’imbarcazione verso il largo dello Stretto di Messina, assistono ad una prova delle abilità di Colapesce voluta dallo stesso Federico II che  gettò in acqua una coppa e chiese al ragazzo di recuperarla.

 

Renato Guttuso: Colapesce, 1985, pannelli dipinti ad olio, Teatro Vittorio Emanuele, Messina. Fonte: pinterest

 

Quando vide ritornare a galla Colapesce con l’oggetto, lanciò la sua corona in un punto ancora più profondo. Anche questa volta però Nicola non ebbe difficoltà a recuperarla. Il re allora fece spostare la barca in un punto ancora più profondo e lanciò il suo anello. Questa volta però Colapesce non tornò più in superficie. La leggenda racconta che Nicola si accorse che la Sicilia era retta su tre colonne. Una di queste però era fratturata e rischiava di rompersi, facendo così sprofondare l’intera isola. Per questo motivo decise di rimanere sott’acqua e reggere da solo il peso della Sicilia.

 

Alessandra Cutrupia

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